SCE 100 PIATTI DA MANGIARE ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA. NEL LIBRO DI LORENZO SANDANO, UN RACCONTO GASTRONOMICO ED EMOTIVO PER PAROLE, RICETTE, FOTO E CANZONI.
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“Quando Rizzoli mi ha chiamato eravamo in quarantena, ma stavo finendo l’ultima tranche della trasmissione (La prova del cuoco, ndr)”. Una fase di confinamento ancora blando, preludio al lungo isolamento che tutti conosciamo. E quell’isolamento è stata la scenografia emotiva di 100 piatti da assaggiare una volta nella vita ovvero: Bocconi atavici, ricette iconiche e scoperte gustative. E poi musica musica musica. Alla chiamata di Rizzoli, che proponeva a Lorenzo Sandano di occuparsi del libro – con la richiesta di scegliere piatti riconoscibili, comprensibili, un approccio non da recensione o guida ma fruibile da tutti – il Linguini nostrano ha rilanciato aggiungendo un’ambientazione musicale per ogni piatto.
E intanto che l’Italia sprofondava nel primo lockdown il progetto ha preso forma. “Mi riavvicinavo all’idea di cucinare a casa, come non succedeva da tempo, al piacere di piatti facili. Passavano i giorni e mi rendevo conto che quello che riempiva i vuoti erano proprio quei piatti, e poi la musica”. Il volume si muove per cerchi concentrici: dalla cucina intima, quella dell’infanzia e degli affetti, passa per quella di Roma, si sposta in Italia e lancia uno sguardo fuori confine.
Difficoltà? Per un quasi 30enne che ha passato metà della sua vita seduto al tavolo di un ristorante, scegliere solo 25 piatti ogni capitolo – e infatti qualche extra arriva dalle ghost track, volutamente low fi con foto da telefonino e raccontini smilzi – e poi coordinare gli spostamenti nei vari ristoranti. “Non ce l’ho fatta ad arrivare in alcuni posti”. Ma l’Italia del 2020 è anche questo.
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Il libro, parole ricordi e immagini
Ogni giro di pagina un nuovo piatto: una foto (con gli scatti del sodale Alberto Blasetti) e un testo breve, agile e decifrabile anche per un lettore poco esperto. Un po’ di storia del piatto, un po’ del cuoco, e un po’ di vita vissuta “per far capire come uno che fa questo mestiere approccia a un cibo”. E poi l’abbinamento musicale, dettato dal ricordo dell’esperienza vissuta in un posto, dal ritmo e dai rumori che si vivono a tavola, dall’approccio del cuoco o dalla musicalità degli ingredienti. “Magari poteva esserci un abbinamento più tecnico”. Ma questo è il suo: emozioni, slanci e riflessioni. Tutto interpretato da Blasetti che ha pescato tra quei ricordi e nell’atmosfera musicale, l’ha tradotta in immagini, spesso a distanza, tra messaggi vocali e note spedite in notturna, brain storming forsennati e intuizioni improvvise.
I capitoli
Inizia con i piatti di famiglia – le Roots Radicals – e le canzoni dell’adolescenza, tra cantautori e un po’ di sano punk rock, spunti intimisti e suggestioni dark: le penne burro parmigiano e limone di mamma Pina (con Parole di burro) e gli spaghetti al pomodoro e Bennato di papà Giancarlo, gli gnocchi di Nonna Fernanda (ancora ineguagliati) abbinati a Un’Idea di Gaber, la pasta e fagioli che lega ricordi, definisce identità e va con i Ramones. Piatti che svelano la loro eternità “e io che per una vita ho cercato cose complicate” e registrano recuperi d’autore.
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Poi arriva Il cielo su Roma, soundtrack by Colle der fomento, protagonisti i cuochi romani che prima o dopo hanno accompagnato Lorenzo: “c’è molta empatia con loro”. Piatti iconici, cavalli di battaglia, sempre con un piede dentro la tradizione: la carbonara di Luciano Monosilio insieme al Colle der fomento e le ruote pazze con genovese di pannicolo del mai dimenticato Mazzo (by The Fooders feat Cor Veleno). Salta in corsa sul treno del fine dining con il Pagliaccio, per atterrare sulla romanità esotica dell’animella di Genovese, con melanzane gelsi e shiso, e il Duca Bianco a fare da coro. E poi ancora street food, pizze in vari stili e una coreografia di primi piatti imperdibili, qualche viaggio fuori porta, tra Ciociaria e periferia iodata e gli esponenti della new generation come Tommaso Tonioni: sedano rapa con emulsione di cozze e grasso di pecora, Black Flag nelle orecchie e grandi sapori nel piatto. In mezzo, tanti aneddoti “viro un po’ sul melenso ma mi piace mettere in evidenza persone che hanno contribuito tanto alla mia crescita e che fanno un bellissimo lavoro”.
Regioni aperte: si va in giro per l’Italia. Passengers accompagna i viaggi – “mi sentivo un pellegrino quando ho cominciato a girare da solo per ristoranti”. Alza il telefono, sale in macchina, “tutti hanno risposto con entusiasmo, anche chi non sentivo da tempo tipo Pino Cuttaia. Ho scelto un piatto che ho mangiato a 17 anni, e lui si ricordava perfettamente”. La pasta minestra di crostacei, in pairing con il Battiato di Stranizza d’amuri. “È stato emozionante: le cose non vengono toccate dal tempo quando passano attraverso il cibo”.
C’è l’Olimpo della ristorazione e le grandi trattorie, il Mirasole con i tortellini alla panna e i Motorhead, e il carpaccio di calamaretti spillo della Trattoria Vino e Cibo – “prodotto al massimo livello, anima pura, verace da Freak Antoni” e poi cibo da strada siciliano e ancora pizze. Bottura non manca, con le tagliatelle al ragù: tradizione progressiva come il rock metropolitano dei Velvet Underground, “mi hanno cambiato la vita e possono essere più significative di altri piatti”. Una categoria di sapori che “che sono nell’immaginario papillare di tante persone”.
Con i Daft Punk – “internazionali per definizione, con un bagaglio tecnico e di suono che spazia in ogni direzione” – varca i confini nazionali e vola around the world. Cina, Paesi Baschi, Messico. Per certi piatti ha bussato alla porta di qualche vicino: per il fegato grasso si è rivolto ad Arcangelo Tinari di Villa Maiella “che mi ha fatto scoprire il foie gras etico senza gavage”, per i tacos ha chiesto La Punta, mentre per la pasticceria d’Oltralpe ha fatto una deviazione da Pavè: “per perdere il senso del tempo e dello spazio tra frolle e lievitati”. Per il resto ha fatto il giro delle cucine di mezzo mondo senza uscire dal Grande Raccordo Anulare “eravamo in una situazione costretta e senza possibilità di viaggiare, ma non volevamo chiedere le foto agli chef. È nato un discorso onirico, potente, come per il primo capitolo”. I piatti sono stati ricreati a Roma, mentre nei due capitoli centrali il set è stato nei vari ristoranti italiani.
Le ricette ricreate
“La prima volta che ho visto Francesco (Capuzzo Dolcetta) era da Bottega Liberati, aveva in mano una pentola con una andouillette appena fatta. Appena arrivato dalla Francia, stava a da un macellaio a provare un salume fatto con la trippa. Questa è la sua ricetta che ho scelto”. Dolcetta e Guglielmo Chiarapini – insieme alla guida delle cucine di Marzapane di Roma – hanno racconto la sfida di ricreare quei piatti nati lontano nel tempo o nello spazio. 4 giorni di chiusa per preparare 70 ricette. “Hanno fatto di tutto senza battere ciglio, con precisione, passione, senza un minimo di ego, ma tentando di ricreare il sapore che cercavo”.
Un momento magico: “coinvolgimento, emozione, scoperta”. Piatti di casa o d’autore, provati e riprovati frugando tra diverse ricette come per la torta al testo “che mia nonna fa senza dosi”, o guardando i tutorial su Youtube – per l’omelette di granchio di Raan Jay Fai musicata dai Foo Fighters – passando per l’anatra alla pechinese o lo street food internazionale. Con le immagini del backstage a rivelare un po’ di quest’avventura, tutta da gustare.
E se leggere e guardare, sbirciare tra foto rubate, non bastasse, niente paura. C’è pure un extra. Alza il volume e accendi i fornelli. Play
100 piatti da assaggiare una volta nella vita – Lorenzo Sandano – Rizzoli – 288 pp. – 20€