Sono più di due milioni gli studenti che, ogni giorno, pranzano nelle mense scolastiche italiane: si tratta perlopiù di bambine e bambini iscritti alle scuole dell’infanzia e primarie, ma nel computo rientrano anche una quota (seppur ridotta) di ragazze e ragazzi che frequentano le scuole secondarie inferiori.
Considerati i numeri, cambiare il modo in cui si mangia a scuola significa coinvolgere nella rivoluzione alimentare una platea significativa di persone in grado di generare ripercussioni positive anche nel lungo termine. Abituare i più giovani all’importanza di consumare alimenti locali e di stagione, poco trasformati, privilegiando le proteine di origine vegetale invece di quelle animali, significa infatti creare le condizioni affinché, crescendo, sviluppino una consapevolezza alimentare che li porti a scegliere e consumare in maniera sempre più sostenibile.
«Le politiche che riguardano la ristorazione collettiva e le mense scolastiche possono impattare positivamente il sistema alimentare complessivo» ha dichiarato la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini, intervenendo alla conferenza Pensa che mensa, organizzata nello spazio Nutrire la città a Terra Madre Salone del Gusto 2022, a Torino fino al 26 settembre. «Slow Food lavora per assicurare un cibo buono, pulito e giusto per tutti: il carattere globale del nostro impegno si esplica alla perfezione nelle mense scolastiche, dove giovani di tutte le estrazioni sociali condividono la stessa tavola». Complessivamente, aggiunge Claudia Paltrinieri, presidente di Foodinsider che ogni anno pubblica il rating sulle mense scolastiche, «parliamo di 380 milioni all’anno di pasti, erogati nelle scuole dalle ditte che vincono le gare indette dalle amministrazioni locali».
Mangiare non basta: a scuola occorre mangiare bene e sostenibile
«Quando, nei primi mesi del 2020, le scuole hanno chiuso a causa del lockdown, nel giro di poche settimane tante famiglie che seguiamo hanno cominciato ad avere problemi a mettere insieme due pasti al giorno – ha spiegato Fosca Nomis, responsabile advocacy e policy di Save the Children Italia –. È stata la dimostrazione di quanto la mensa scolastica sia un servizio importante per molte famiglie, un vero strumento di contrasto alla povertà».
Assicurare un pasto, però, non è sufficiente. Per fare la differenza, per contrastare la crisi climatica attraverso l’alimentazione, serve una modifica radicale di ciò che consumiamo. Un esempio, in questo senso, arriva dalla Piana fiorentina, in Toscana, dove la società Qualità e Servizi rifornisce le mense di sei comuni, per un totale di 8.000 pasti al giorno in 70 scuole, valorizzando le materie prime locali e stagionali, riducendo la proposta di alimenti di origine animale e proponendo a bambine e bambini piatti a base di legumi. «Lavoriamo quattro tonnellate al giorno di materie prime, di cui il 70% proviene da meno di 80 km» ha spiegato Filippo Fossati, rappresentante dell’azienda alla cui storia è dedicato il caso studio appena pubblicato da Slow Food.
Un’esperienza simile arriva dalla Repubblica Ceca, dove ogni giorno 1,8 milioni di studenti (l’80% del totale) consumano il pranzo nelle 8.856 mense scolastiche diffuse sul territorio nazionale: «Abbiamo messo a punto un programma a medio termine, che durerà circa cinque anni, per arrivare a una modifica della legge che regola le mense nel nostro Paese» ha spiegato Renata Lukášová, di Slow Food Praga. «Le prime attività, già avviate, sono state la formazione dei cuochi che lavorano nelle scuole e le degustazioni che hanno coinvolto i nostri clienti, cioè le alunne e gli alunni, per avvicinarli a sapori ai quali non sono abituati. Ci vorrà qualche anno, ma sono sicura che riusciremo a trasformare il sistema della ristorazione scolastica in Repubblica Ceca».
Alla tavola rotonda è intervenuta anche Paola Segurini, della Lega antivivisezione (Lav) Onlus, che ha ricordato le conseguenze ambientali dell’eccessivo consumo di carne. «Come Lav abbiamo proposto alle amministrazioni comunali di cinque città italiane, Bologna, Milano, Napoli, Roma e Torino, di ridurre del 20% nei prossimi quattro anni la quantità di carne proposta nelle mense delle loro città, che oggi complessivamente sfiora quota 1 milione e 500 mila chilogrammi ogni anno, e di istituire un giorno in cui il menù della mensa scolastica sia totalmente basato su prodotti vegetali».
È alle amministrazioni locali, infatti, che spetta il compito di scegliere come gestire il servizio della mensa scolastica, se direttamente con il proprio personale oppure appaltarlo per mezzo di gare. «La domanda che dobbiamo porci – le parole conclusive di Fossati – è: preferiamo continuare a considerare la ristorazione scolastica alla stregua di un servizio alberghiero, nel modo cioè in cui oggi viene inteso quasi dappertutto, o come un grande fatto politico che genera cambiamento?»
Simone Scarso