Gli agrumi siciliani sono ritenuti fra i migliori del mondo; anche se non autoctoni, sono diventati simbolo stesso dell’Isola, definita da Goethe “la terra dove fioriscono i limoni”, e sono stati immortalati in brani di famose opere letterarie, da Lumìe di Sicilia di Luigi Pirandello a Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini. Molto apprezzati sono i limoni verdelli, e famose in tutto il mondo sono le arance rosse dette sanguinelle, il cui colore è causato dalla forte escursione termica presente sulle pendici dell’Etna. Tra queste ultime il tarocco della Piana di Catania è divenuto Presidio Slow Food.
Gli agrumi, originari della Cina e dell’India, erano arrivati in Europa già in epoca romana, come si può dedurre anche dalla loro presenza nei mosaici di Piazza Armerina, ma non furono realmente “addomesticati” e apprezzati per le loro virtù alimentari prima dell’arrivo degli arabi nel IX secolo. Fino al XV secolo circolava però in Europa ancora esclusivamente l’arancio amaro (cartasio) e l’introduzione del mandarino è molto più recente (XIX secolo).
Il cedro (Citrus medica) fu storicamente il primo agrume ad arrivare in Occidente, durante il lungo viaggio nel IV secolo avanti Cristo, attraversò Persia e Mesopotamia e si fermò in Terrasanta dove assunse significato religioso. Durante l’impero romano furono le comunità ebraiche di Pozzuoli e di Pompei a introdurre il cedro in Italia. In occasione della festa dei Tabernacoli o delle Capanne (Sukkoth) a metà ottobre gli ebrei osservanti sventolano in tutte le direzioni un ramo di palma, due di salice e tre di mirto, tenendo nella mano sinistra un frutto di cedro, simbolo di perfezione. Osservare questa tradizione ha comportato non pochi problemi alle comunità ebraiche di tutto il mondo, che spesso dovevano fare arrivare questi frutti da terre molto lontane. In Sicilia il cedro ha un ruolo tutto suo nel panorama degli agrumi: trova largo uso nella confezione dei dolci che prevedono la conserva di cedro (cedrata) e viene venduto come snack in mezzo alla strada. Ci sono cedri di dimensioni considerevoli, in siciliano chiamati (come altri frutti esageratamente grandi) pipittuna.
A Modica la cedrata è un torrone cilindrico di cedro lungo circa dieci centimetri, e l’aranciata consiste in scorzette d’arancio candite, unite insieme a formare un cestino. Entrambe sono cotte nel miele e lasciate indurire; vengono poi fatte a pezzetti e usate come digestivo dopo un pasto molto abbondante. Ne parlava già nel ’500 il poeta Antonio Veneziano nel suo poemetto Arangeide, nel quale si legge “di chilla cubaita spiciali chi la chiamanu arangiada”. Il Pitrè alla fine dell’Ottocento cita cedrata e aranciata come celebri dolci di Modica, e in un bollettino economico statistico pubblicato nello stesso periodo si apprende che gli addetti alla lavorazione di queste specialità nel periodo di fine anno a Modica erano più di cinquanta.
È significativo che in Sicilia gli agrumeti si chiamino “giardini”: nei giardini persiani prima e islamici dopo non c’era differenza fra orto e giardino ornamentale. L’hortus conclusus mediterraneo è sempre circondato da un muro: addirittura a Pantelleria non è raro vedere un limone che, come un re in esilio, se ne sta tutto solo in mezzo alla campagna, circondato da un muretto in pietra lavica costruito appositamente per lui.
Il clima siciliano è adatto a tutte le specie di agrumi, ma alcune stanno tristemente scomparendo come le lumìe (o limoncelle), altre non sono mai state coltivate come il lime, e altre ancora sono state solo recentemente introdotte come il pompelmo, della cui bontà e utilità i siciliani non sembrano ancora del tutto convinti. Degli agrumeti un tempo rigogliosi nella fertilissima pianura intorno a Palermo è rimasto ben poco; oltre l’80 per cento della Conca d’Oro, che lo storico Piero Bevilacqua ha definito un “territorio di antico e quasi mitico predominio dell’albero”, è stato edificato. La porzione ancora intatta delle borgate di Ciaculli e Croceverde Giardina è tuttora coltivata intensamente; negli anni ’40, da mutazione spontanea del mandarino Avana, vi è nata una nuova varietà di mandarini che matura da gennaio a marzo, molto dolce e con pochissimi semi: è il mandarino tardivo di Ciaculli che insieme al limone Interdonato è divenuto Presidio Slow Food. L’Interdonato, che cresce vicino alla costa ionica, prende nome dall’agronomo che nel XIX secolo, dall’incrocio del cedro con il locale limone ariddaru, ottenne questo frutto dalla buccia a grana finissima, molto insolita nei limoni siciliani, che per tale ragione viene anche chiamato “limone fino”.
Le foglie del limone possono essere fritte o usate per avvolgere e cuocere le polpette di carne o fette di formaggio, e in Sicilia è stata inventata l’insalata di arance che con la sua originalissima accoppiata dell’agrume con aringa salata, cipolle scalogne, olio e sale, può essere considerata il palinsesto della fantasia dei siciliani in cucina e anche della versatilità di questo frutto straordinario. Nelle versioni più elaborate di questo piatto, il tutto era amalgamato da uova, noci e datteri. Le arance migliori per l’insalata sono quelle un po’ aspre dette “portoghesi” (portuàlli in siciliano, portuàl in arabo), a quanto pare perché i portoghesi erano particolarmente attivi nella loro commercializzazione.